Dopo la crisi del Covid-19 l’economia in generale ha subito una battuta d’arresto, ma quale e quanto importante sarà l’impatto della pandemia sull’industria del lusso e del made in Italy?
Quali effetti ha avuto e avrà il Coronavirus sul sistema moda?
L’esplosione dell’emergenza Coronavirus non solo ha cambiato radicalmente la nostra quotidianità, mettendo in discussione l’equilibrio della convivenza comune che ci ha sempre permesso di definirci “esseri sociali”, ma ha anche aiutato a riconsiderare le “strutture“ a cui siamo stati abituati sino ad oggi e tra queste non passa di certo inosservata la filiera della moda, che non ha potuto non risentire degli effetti, finanziari e non, causati dalla pandemia di Covid-19.
Il primo segnale si è verificato proprio quando, durante la Milano Fashion Week di Febbraio, viene notata una scarsa presenza, se non la totale assenza, di metà dei buyer e dei giornalisti asiatici. In più Giorgio Armani lancia un chiaro messaggio organizzando la sua sfilata, della collezione A/I, a porte chiuse e firmando per una considerevole donazione agli ospedali italiani, dove vengono tuttora curati e assistiti i pazienti affetti dal virus.
È stata la volta poi di Parigi dove vengono cancellate diverse presentazioni. Ai redattori americani rientrati negli Stati Uniti da Italia e Francia, in più viene consigliato di mettersi in auto quarantena per due settimane.
Nemmeno 15 giorni dopo New York è in stato di emergenza dichiarato.
Ciò ha significato che le case di moda locali e non, le fashion media company e le agenzie di relazioni pubbliche hanno dovuto far fronte al problema cambiando metodologia e impostando lo “smart working” come nuovo strumento di lavoro.
Il fashion system non si è però fermato e non è rimasto sordo all’appello di medici e protezione civile che hanno chiesto mascherine, gel disinfettanti, camici e tutta l’attrezzatura necessaria per proteggersi e limitare i contagi.
Inoltre per affrontare questa emergenza hanno cominciato a diffondersi iniziative benefiche e donazioni da parte di moltissime personalità influenti come Versace, Chiara Ferragni e Fedez, Benetton, Dolce & Gabbana, gruppo Kering, Capri Holdings Limited e tanti altri che pian piano si sono aggiunti alla lista.
Moltissimi brand e aziende, dal tessile alla profumeria, quali Bulgari, Zara, Miroglio, L’Oréal, Calzedonia, hanno deciso di convertire la propria produzione e in pochissimo tempo si è attivato un processo di riconversione che appena un mese prima sarebbe sembrato impossibile.
Questo perché il mondo si è trovato di fronte ad una situazione di seria emergenza, tale da mettere a rischio l’economia e l’intero mercato della moda.
L’analista Luca Solca di Alliance Bernstein ha dichiarato che probabilmente la prima metà del 2020 sarà “la peggiore nella storia del mercato del lusso”, questo anche a causa delle necessarie misure di contenimento della pandemia che sono state adottate, che hanno visto uscite e movimenti delle persone limitati a “casi di comprovate necessità” e alla derivante chiusura dei negozi.
Sappiamo bene che acquisto e vendita sono processi che avvengono nella maggior parte dei casi di persona, per questo i marchi hanno dovuto considerare soluzioni veloci e creative, perché non tutti i clienti sono esperti e soprattutto non sono digitalizzati e non tutti i brand hanno un e-commerce o una piattaforma online.
A questo si è aggiunta l’idea di tantissimi potenziali consumatori che si sono chiesti: “Se resto a casa, ho davvero la necessità di fare shopping?”
I fashion editor hanno risposto proponendo diverse formule ”how to” dedicate a smart working, fitness in casa, loungewear e sleepwear.
Net-à-porter poi ha registrato un incremento del 40% nelle vendite online con particolare interesse da parte dei compratori per i pantaloni di tuta. Una voglia di mise confy che l’ha fatta da padrone durante la quarantena, perché è difficile immaginarsi in abiti eleganti o jeans e decolletè mentre si è sul divano di casa a guardare l’ennesimo film o una nuova serie tv..
La chiusura dei negozi fisici, che dopo Cina e Italia si è estesa a Stati Uniti e Europa, rappresenta una grave perdita anche per i big del lusso; Capri Holdings (che possiede Michael Kors, Versace e Jimmy Choo) ha chiuso 150 negozi in Cina e ha previsto una riduzione di 100 milioni di dollari di entrate per i prossimi sei mesi.
Il fermo di molte fabbriche cinesi, essendo la Cina uno dei maggiori fornitori di prodotti e materie prime per le case di moda, rischia di danneggiare notevolmente il settore moda, infatti la Cina ha rappresentato circa il 38% delle esportazioni tessili mondiali nel 2019 ma ora che la produzione ha subito questo brusco fermo, le aziende che ne dipendevano, non hanno ricevuto e non riceveranno i propri ordini in tempo.
La Camera della Moda ha annunciato che le presentazioni previste per Giugno si svolgeranno in occasione di Milano Moda Donna nel Settembre prossimo, mentre la Fédération de la Haute Couture et de la Mode ha annullato le sfilate di haute couture previste per i primi di Luglio a Parigi.
Il presidente di Cbi-Camera dei Buyer Italia, F. Tombolini prevede il congelamento della stagione estiva: “la merce che era stata appena esposta nelle attività che hanno dovuto abbassare le serrande, potrebbe andare in vendita nel 2021..”.
Si tratta di una vera e propria pausa per far recuperare le aziende, che esprime ancora meglio lo stretto legame tra società e moda.
Possiamo dire che il Coronavirus ha determinato, sta determinando e determinerà la sorte di moltissime catene fast fashion, già in crisi prima del lockdown.
Negli ultimi mesi H&M ha preso la decisione di chiudere ben otto negozi: in Italia non hanno riaperto due degli store storici di Milano (in Duomo e in Corso Buenos Aires), gli altri a Udine, Gorizia, Grosseto, Vicenza e Bassano del Grappa.
Anche Zara ha annunciato l’imminente chiusura di 1200 punti vendita in Italia.
Oltreoceano è la volta di Neiman Marcus Group, che ha dovuto chiudere temporanea tutte le 43 sedi e ciò ha significato il conseguente licenziamento di 14.000 dipendenti. Sembra inoltre che non manchi molto ad una dichiarazione di fallimento.
È chiaro che il Covid-19 abbia dato la scoccata finale ad alcuni colossi del fast fashion, già precedentemente messi a dura prova da un’inversione di tendenza di consumo, quale rivendita e noleggio di capi e accessori.
Il periodo storico che ci troviamo ad affrontare ha portato la società intera a porsi una sola semplice domanda: “Che cosa è utile e necessario?”. Il Coronavirus sta segnando un crinale che dal punto di vista storico e sociale avrà delle conseguenze nelle scelte di vita, dalle più rilevanti a quelle più piccole (per alcuni) come il guardaroba.
La moda è parte integrante del processo antropologico poiché è associata all’idea di cambiamento che negli ultimi anni è sempre più istantaneo per poter restare al passo con il web e indubbiamente ciò può determinarsi in base ai cambiamenti economici, politici, sociali e culturali, per non parlare della sua valenza come mezzo di comunicazione e identificazione.
Ormai ci stiamo abituando ad indossare la mascherina ogni giorno e in qualunque situazione della vita quotidiana, sta diventando pian piano un accessorio “must have” con il quale esprimere la propria personalità, al contempo celando una parte del volto e lasciando lo sguardo a parlare per sé.
Ma questo non è che il profilo della questione, il ritorno alla “normalità” probabilmente non avverrà più o non così facilmente, soprattutto dopo l’acquisizione di nuove consapevolezze, crescenti timori e scelte ponderate.
In materia di consumi, il post pandemia ad oggi ci offre l’opportunità di valutare e poter investire in beni sostenibili, per noi e l’ambiente, stimolando anche le menti più creative, non più subordinate ai tempi frenetici e incalzanti del mercato.
Si tratterebbe di un ritorno a quel Lusso necessario ben descritto da Giorgio Armani: “il mercato arriva a premiare l’eccellenza del prodotto, anche nel piccolo, anche nel quotidiano, restituendo valore alle cose, ma soprattutto alle idee”.