Il commosso ricordo della Redazione di GlamourAffair per la prematura scomparsa del Maestro Giovanni Gastel.
Milano, sabato 13 marzo 2021. La scomparsa prematura di Giovanni Gastel lascia un enorme vuoto nel panorama della fotografia mondiale ma, soprattutto, nell’animo delle persone che, come noi, lo hanno conosciuto. Nato a Milano il 27 dicembre 1955 da Giuseppe Gastel e Ida Visconti di Modrone, nella sua lunga e brillante carriera nella moda ha prodotto scatti indimenticabili per Versace, Missoni, Tod’s, Trussardi, Krizia, Ferragamo, Dior, Nina Ricci, Guerlain e molte altre grandi firme e riviste. La sua ricerca personale nel ritratto fotografico lo ha portato a creare la sua impronta unica e inconfondibile, immortalando i volti di alcuni tra i più grandi personaggi del nostro tempo.
Era soprannominato “il Principe” dagli addetti al settore, un po’ per le sue origini, un po’ per la sua irraggiungibile raffinatezza. E noi vogliamo ricordarlo così, per l’immensa capacità che aveva nel far sentire le persone a proprio in sua presenza attraverso la rara eleganza che aveva nel porsi. Giovanni Gastel non amava farsi dare del lei… Diceva: “Lei chi?” con l’ironia che è stata probabilmente, oltre al talento, una delle chiavi del suo successo. La Redazione di GlamourAffair vuole ricordare la memoria del Maestro Gastel, nonché omaggiare i suoi familiari, riproponendo l’intervista realizzata nel suo studio milanese di Via Tortona per la pubblicazione numero 7 di GlamourAffair Vision. Era il 5 dicembre 2019.
GIOVANNI GASTELIntervista pubblicata su Glamouraffair Vision n. 7, Gennaio – Febbraio 2020
Un milanese, di quelli veri che ormai si stentano a trovare a Milano. Stile raffinato, eleganza ed ironia. Per alcuni è un poeta, per altri un maestro. Per altri ancora una suggestione che sarà a divenire… L’arte e la ricerca di Giovanni Gastel hanno fissato “su pellicola” alcune delle maggiori icone del nostro tempo, portando la sua opera al piano di ispirazione per le generazioni contemporanee e future di fotografi. Lo abbiamo incontrato nel suo studio di Milano per capire quale sia la matrice del suo stile unico ed inconfondibile, ripercorrendo alcuni dei momenti fondamentali della sua carriera. Era una giornata uggiosa, come se ne vedono spesso da queste parti. Forse a ricordarci che nel grigio di questa città, ogni giorno, dietro anonime porte e silenti cortili, il colore dell’arte ha ancora la forza di sopravvivere e generare immensa bellezza…
Alessio Gilardi, Gennaio 2019
INTERVISTA DI VALENTINA CHERUBINI
Valentina Cherubini: Maestro, inizierei con una domanda sulla fotografia, che è stata la protagonista indiscussa di tutta la sua vita. Qual è stato il primo incontro con quest’arte?
Giovanni Gastel: L’ho incontrata come quasi tutti… Mi è stata regalata una macchina fotografica quando avevo 14/15 anni, una Nikkormat con un 50mm, ed ho iniziato a fotografare durante i viaggi. In realtà io avrei voluto fare il poeta e a 14 anni avevo già pubblicato un libro. Ma intorno ai 15/16 anni avevo una fidanzata, una compagna di scuola di nome Alexandra, che si rompeva terribilmente a stare in mezzo ai poeti e allora insistette tantissimo perché io facessi il fotografo. Però non è stato il mio primo amore… Così, quando alla fine del liceo mio padre mi ha cacciato di casa, ho aperto con un socio la mia prima “cantina” che si chiamava Alexandra Studio, dedicato alla mia fidanzata. Poi lei, che diceva di annoiarsi con poeti, mi lasciò per sposare un notaio! (ride)
Successivamente trascorsi 5/6 anni di gavetta molto dura facendo di tutto, dai matrimoni alle cresime, perché mio padre mi aveva proprio cacciato “a calci in culo” di casa. Io sono Figlio di un incrocio strano: mio padre era della piccola borghesia, mia madre dell’alta aristocrazia, una Visconti di Modrone, sorella di Luchino (Luchino Visconti n.d.r.). Un grande conflitto di etica e di sistemi educativi: mio padre entrava in camera e diceva: “Fai ginnastica! Vai a scuola!”Poi arrivava mia madre, che non aveva mai visto una scuola in vita sua avendo studiato a casa, che diceva: “Ma tu vuoi andare a scuola? – No! – E allora non ci andare!” Infatti sono andato pochissimo a scuola. Poi ho iniziato a studiare come un pazzo come puoi notare! (Indica i libri nella sala). Però tutto questo ebbe i suoi lati negativi: a diciotto anni mi aspettavo un motorino e, invece, mia madre mi ha regalò una cassa con dentro tutti i libri di Flaubert in francese. Bellissimi, però anche un motorino mi avrebbe fatto piacere! (ride) Però ora diamoci del tu…
VC: Ne approfitto per agganciarmi alla prossima domanda che riguarda la poesia, l’ironia e l’arte. Vorrei sapere da te cosa sono singolarmente queste tre parole.
GG: Non me le ricordo già più… Quali erano? (Ride) Poesia credo sia una lente che hai o non hai, con cui guardi tutta la realtà. Penso poeti si nasca. Io poi sono un naufrago, settimo figlio allevato da genitori molto anziani in un mondo ovattato di grandi ville, camerieri, cuochi… Quando poi mi hanno detto che era tempo di uscire, ho aperto i cancelli di queste case e fuori le brigate rosse sparavano da tutte le parti, mentre i neri mettevano le bombe nelle banche… Sono tornato da mio padre e mia madre dicendo: “Guardate che il mondo non è fatto come mi avete insegnato”. Mi sono improvvisamente trovato in questo mondo in cui non ero “attrezzato”. Quel che ho potuto fare era dire: parlerò di quel mondo per cui mi hanno preparato tutta la vita attraverso la fotografia, l’arte, la poesia.
VC: E l’ironia? Indubbiamente hai un’ironia tutta tua!
GG: L’ironia salva da tutto! Io sono un malinconico che ride sempre sostanzialmente. Se dovessi descrivermi, direi che sono questo: un malinconico molto allegro. Osservo le cose anche dal punto di vista ironico, non so come dirti… Poi penso che la vita sia un po’ quello, mettersi dall’altra parte! Se non si attua questo scambio ci si prende sul serio, invece io tutto voglio tranne che prendermi sul serio. Poi io vivo solo il tempo reale, di tutto il resto non me ne frega niente. Tutto quello che ho fatto sono messaggi nella bottiglia buttati nel mare della comunicazione. Hanno la loro vita e sono aperti ad interpretazioni, non do titoli, non spiego… Vivono la loro vita ed io nella mia isola solitaria ho scritto il mio messaggio. Buttato nel mare, sono già pronto per scriverne un altro! Quel messaggio viaggerà, annegherà, morirà, lo leggerà qualcuno… Li lancio perché spero che qualcuno si ricordi che sono esistito, non per avere successo o denaro. Vorrei che la gente sapesse che ho avuto il culo di nascere e di transitare. Di messaggi ne ho scritti! (ride) Però sai già esserci è una fortuna pazzesca! Lo dico a quelli che mi dicono che hanno una vita sfortunata: attenzione che ci vuole fortuna ad essere vivi!
VC: E invece l’arte?
GG: Non so se faccio arte… So che se faccio operazioni creative sto bene, anche fisicamente! Se non lo faccio sto male. Poi il giudizio lo daranno i grandi critici, la storia…. Una volta qualcuno mi ha detto: ”Sai, gli unici che hanno scritto artista sul passaporto sono le spogliarelliste. E credo che sia vero! (Ride) Allora evito di chiamarmi artista! Poi, se l’anno dopo che sono morto non si ricorderà nessuno della mia esistenza, chi se ne frega! Io faccio tutto quello che devo fare perché mi fa star bene, perché mi piace. Mi sono poi reso conto che quel mondo che io descrivo, che credevo fosse di nicchia, in realtà piace a tantissima gente! Se pensi che su Instagram ho circa 250.000 followers, vuole dire che ci sono altrettante persone che hanno voglia di eleganza, dignità della donna… L’eleganza è un valore prima morale poi estetico. Non si può avere un’estetica se non si ha un corpus di eleganza morale e di comportamento. Il fatto che interessi a tanta gente mi consola, perché ho vissuto in una grotta tutta la vita a causa del mio talento precoce. Non ho mai avuto una vita sociale e l’ho scoperta molto con i social!
VC: Quindi il social e la fotografia social li vedi positivamente?
GG: Per quanto riguarda il social, dipende da come lo si usa. Come dico sempre ai ragazzi, è come una penna: puoi scrivere il Barone Rampante, oppure una stupidata. È colpa della penna? No! Io quando sono entrato sui social ho creato il mio social, alto, facendo vedere cose belle e scrivendo cose intelligenti, spero. Il mezzo non ha mai responsabilità, ma l’utilizzo che se ne fa sì!
Inoltre la fotografia si è sdoppiata. Attraverso gli smartphone è diventata una lingua che però è trasferimento di dati, non ha ambizione artistica. È un uso linguistico, ma non intacca minimamente il lavoro che faccio io, che è di tipo artistico. Sono anche presidente dei fotografi italiani e l’idea che tutto il mondo abbia una macchina fotografica in tasca, che fa anche le telefonate anche se non ne parla più nessuno, è una bellissima notizia! È il mio mezzo di comunicazione che vince nel mondo.
VC: Quindi preferisci l’analogico o il digitale?
GG: Dipende. I mezzi tecnici contengono un’estetica e bisogna mettere in contatto la propria anima con l’estetica del mezzo. Io sono partito “analogico”. Lavoravo sui banchi ottici con le polaroid 20×25 cm sviluppate direttamente, senza nessun intervento. Diciamolo: i mezzi contengono un’estetica. Il grande dibattito tra fotografia digitale e analogica non c’è: la fotografia analogica è già “archeologia fotografica”. La fotografia nasce oggi con l’elettronica. L’elettronica applicata alla fotografia segna la nascita della fotografia secondo me, però è una posizione molto personale. Tutto quello che anche io ho fatto è già archeologia fotografica. Tanti ragazzi vogliono fotografare ancora in pellicola… Io dico benissimo, ci si può occupare di archeologia tutta la vita, però bisogna sapere cosa si sta facendo.
Da quando sono passato al digitale ho cercato un’altra fotografia! Sempre mia, ma un’altra. Per esempio il ritratto, che con il banco ottico era difficile immobilizzando la gente, prima non lo facevo. Adesso invece come vedi faccio ritratti. L’estetica del mezzo mi ha concesso di esprimere finalmente la mia volontà. Tutti i vecchi come me ci restano male perché pretendono dal mezzo nuovo l’estetica del mezzo vecchio, e saranno sempre delusi. Invece bisogna rimettersi in gioco!
VC: Questa potrebbe essere una chiave di vita…
GG: Sempre è così, certo! Io sono profondamente qui, penso che si senta. Perché questo è l’unico tempo! Quello che ci sarà dopo è aleatorio e quello che c’è stato prima è passato. Sant’Agostino diceva che noi dovremmo vivere ogni giorno con lo slancio vitale del primo e la consapevolezza dell’ultimo. Se riuscissimo a fare questo, vivremmo pienamente. In piccola parte ci provo! Aderisco al tempo presente.
VC: Tempo fa Flavio (Direttore Artistico di GlamourAffair Vision, n.d.r.) era venuto in questo studio e gli avevi dato un consiglio visionando il suo portfolio, suggerendo di essere più autore che fotografo. Cosa intendevi?
GG: Il discorso è che, fino all’avvento del digitale, il fotografo poteva ancora difendere se stesso e considerarsi professionista perché conosceva una magia tecnica che altri non conoscevano. Adesso tutto questo è decaduto, perché l’elettronica ha reso la fotografia accessibile da un punto di vista tecnico più o meno a tutti tra virgolette. Un fotografo non può più lavorare solamente sul fatto di saper fare qualcosa che un altro non sa fare. Per fare il catalogo di una tazzina, una persona oggi può usare benissimo il suo iPad. Perché quindi vieni da me? Perché io sono unico al mondo! La fotografia professionale sarà quindi solo per gli autori, perché si dovrà mostrare la propria anima. Devi trovarti, definirti, trovare ciò che ti differenzia da tutti gli altri e su quello costruire la tua estetica, rendendo il proprio prodotto sempre più aderente alla propria unicità. Perché lo fanno in pochi? Perché il prezzo di tutto questo è la solitudine. Se lavori su ciò che ti rende simile agli altri, vivi molto socialmente. Se tutta la vita lavori su quello che ti rende diverso, sei profondamente solo. Bisogna scavarsi dentro non per vedere quello che vorresti essere, ma per trovare quello che sei. Poi se trovi una “parola” che ti descrive e su quello costruisci la tua estetica, diventa tutto più semplice! Tutto si trasforma in estetica, però prima bisogna definirsi. Se vuoi me, ci sono solo io come me! Tutto questo lo faccio io (indicando i lavori appesi), perché sono io! E tutti se ne rendono conto. Se vuoi quel ritratto non c’è nessuno al mondo che te lo può fare così! Magari meglio, ma non così. Tanti copiano il mio stile, ma alla fine tutti vengono qua.
VC: So che organizzi molti workshop e, se non sbaglio, che sono spesso a sfondo benefico…
GG: Adesso partirò in un tour in tutta Italia. Ho pensato che il modo migliore per insegnare fosse fare come i cantanti, cioè girare tre giorni per città con lezioni magistrali, proiezioni, dibattiti con ospiti, poi due giorni di workshop. Tutti i weekend. Mi sembrava un modo più moderno per fare scuola. Pensate che l’ultimo workshop è andato sold out in tre ore! Cose che non mi sarei mai aspettato dalla vita. I workshop li tengo anche per portare fondi all’AFIP, l’Associazione Fotografi Italiani Professionisti. Mi fa piacere aiutarla! Poi ora abbiamo anche una rivista e organizziamo tante attività nella Palazzina Appiani, di fianco all’Arena Civica, la nostra sede.
VC: Com’è nata la nuova rivista?
GG: A quel signore là, Luchino, feci una volta la stessa domanda… Ma come nascono le tue riviste? È facilissimo mi rispose! Guardo tutte le riviste del settore e poi vedo cosa mi manca… Che è l’uovo di colombo! (ride) Quindi ho fatto la stessa cosa guardando tutte le riviste di fotografia e mi sono chiesto: ma cos’è che manca? Manca il ragionamento! Questo è il momento di massima esplosione del linguaggio fotografico e nessuno ne parla, nessuno ragiona sulla connessione tra la fotografia e le altre arti. Proviamo a fare una rivista in cui c’è una percentuale di immagini, ma c’è anche molta ragionamento, analisi, filosofia… è molto scritta. Non voglio più abbassare l’asta, voglio una rivista che parli una lingua relativamente alta. Il primo numero è andato benissimo! Ma i primi vanno sempre bene, ora vediamo il secondo… Però è andato meglio di quello che pensavo, con tanti commenti entusiasti. E anche qui non ho fatto le prime cinque cose che mi sono venute in mente… Son partito dalla sesta! In una rivista di fotografia facciamo vedere le fotografie… No! Quello lo fanno già tutti! (ride)
VC: Ottimo modo di ragionare!
GG: Anche nella fotografia ragiono così… Le prime cinque idee le scarto perché sono semplici. Ad esempio una volta mandarono qui Miss Italia per un servizio. Mi sono rifiutato di fare una foto con costume, con la corona, la gambetta di fuori… Alle fine ho realizzato un suo ritratto dove i suoi capelli sono spaghetti. È molto famosa, non l’hai mai vista? (Ride) A nessuno verrebbe mai in mente di fotografare Miss Italia così! Ho escluso tutto quello che era banale fin da ragazzo. (Inizia a mostrare delle foto) Come tutti i giovani, ho iniziato con lo still-life perché costava meno. Non hai modelle, il rischio per l’editore è minimo, ecc… Una volta ad esempio mi chiesero di fotografare una pinna, quindi ho dato la mia interpretazione alla pinna! Ora vi mostro un po’ di scatti! In questa ci siamo io e Linda da ragazzi (Linda Evangelista, n.d.r.). Aveva 18 anni e sulla foto scrisse: “The Genius and The Star”… (prosegue a mostrare le foto).
VC: Entrando abbiamo notato questo bellissimo tavolo…
GG: Questo tavolo mi ha accompagnato per tutta la vita artistica e in tutti i miei studi. Arrivava dalla vecchia sede del Corriere della Sera, penso si veda dalla dimensione… E col tempo l’ho impreziosito con questo rivestimento in marmi policromi. Si chiama Alexandra, come la mia prima fidanzata…